Senza ombra di dubbio! È il caso di affermare che è come “prendere due piccioni con una fava”. Il regime alimentare antinfiammatorio, se seguito in modo corretto, è un modello in grado di prevenire e/o contrastare lo stato infiammatorio cronico dell’organismo. Il rischio legato ad uno stile di vita e ad una alimentazione disordinata risulta modificabile osservando il timing dei pasti (il consumo dei cibi in un tempo limitato migliora l’infiammazione metabolica), consumando alimenti a più basso indice glicemico ed insulinemico, migliorando il rapporto fra acidi grassi omega-6 e omega-3, evitando i cibi che contengono acidi grassi idrogenati, e praticando attività fisica quotidiana di intensità moderata. Queste indicazioni sono peculiari della Dieta Mediterranea Tradizionale che è oggi considerata un valido modello di prevenzione dell’infiammazione cronica e delle patologie ad essa correlate, come si evince dalle numerose metanalisi sull’argomento. Un programma alimentare antinfiammatorio deve tener conto della tipologia degli alimenti, delle loro proprietà nutrizionali e della frequenza nel consumo. Può essere strutturato a forma di piramide, prendendo in considerazione il consumo giornaliero di cibi salutari.
Premesso che l’artrosi è una malattia caratterizzata dalla presenza di un’infiammazione localizzata alle articolazioni, che l’infiammazione è un processo nel quale avviene la produzione di radicali liberi e che i radicali liberi possono aggredire le articolazioni, innescando così un circolo vizioso che favorisce la persistenza nel tempo di questa malattia, se vogliamo prevenire e curare in maniera adeguata questa patologia dobbiamo conoscere con precisione quale sia l’entità dello stress ossidativo di un individuo, ovvero la quantità di radicali liberi presenti nel suo organismo.
Per misurare lo stress ossidativo da radicali liberi e le capacità di difesa antiossidante del nostro organismo è disponibile un sistema integrato che consente l’esecuzione di due test, il d-ROMs test ed il BAP test. Grazie a questi due test è possibile stabilire in tempo reale se lo stress ossidativo sia dovuto ad un aumentata produzione e/o ad una ridotta capacità di eliminazione dei radicali liberi. Il test si basa sul prelievo di un piccolo campione di sangue capillare, ottenuto mediante la puntura di un polpastrello, e si effettua come un normale esame di laboratorio.
Detto questo, è implicito che, qualora un individuo, affetto da artrosi, presenti un elevato stress ossidativo, debba seguire un regime alimentare basato sul consumo di alimenti in grado di neutralizzare i radicali liberi. Infatti, è ormai scientificamente provato che alcuni alimenti, se assunti in quantità adeguata e per periodi di tempo sufficientemente lunghi, essendo ricchi di sostanze antiossidanti, possano ridurre la produzione dei radicali liberi e lo sviluppo dello stress ossidativo che da questi deriva. Quindi, uno dei metodi migliori per fare prevenzione e combattere lo stress ossidativo è assumere una buona dose di antiossidanti. La concentrazione degli antiossidanti, però, varia a seconda dell’alimento preso in considerazione, anche in funzione delle modalità con cui viene cotto e conservato. La misurazione della quantità di antiossidanti presenti negli alimenti e la determinazione del loro preciso effetto sui radicali liberi non è semplice. Per tale ragione il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America ha elaborato una scala di misurazione del potere antiossidante di una sostanza chiamata ORAC (Capacità di Assorbimento Radicale d’Ossigeno), che misura il potenziale antiossidante di un alimento e determina il fabbisogno giornaliero di antiossidanti in 3000-5000 ORAC al giorno.
Per soddisfare il fabbisogno di antiossidanti di una persona, con un apporto d’energia rispettoso del bilancio energetico, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di assumere quotidianamente 2 porzioni di frutta e almeno 3 di verdura di colori diversi, visto che gli antiossidanti sono i diretti responsabili della colorazione dei vegetali.
Sempre restando nell’ambito delle cure naturali per l’artrosi, oltre all’alimentazione, è possibile fare ricorso a rimedi naturali, come le erbe medicinali.
L’apporto della medicina naturale, in reumatologia, è particolarmente indicato per dolori la cui causa sia da attribuirsi ad una infiammazione a carico dell’apparato osteo-articolare. Si avvale di rimedi sia per uso esterno (piante come tali, o sotto forma di oli), che per uso interno (tisane, gocce, perle, compresse). La scelta delle piante varia di volta in volta, a seconda del paziente e della sede dell’artrosi. L’applicazione per uso esterno avviene in forma di gel, di cataplasmi o di impacchi. Il linimento viene poi fatto penetrare attraverso la cute, nel punto interessato dal dolore, mediante ultrasuoni e massaggi, in maniera non invasiva.
Del resto il ricorso alle cure naturali per l’artrosi può fornire un’alternativa nei casi in cui, dopo un ciclo di antiinfiammatori somministrati per via interna, il dolore si riduca solo in parte o, peggio, resti immodificato.
Studio di Cure Naturali
Professor Luca Mario PITROLO GENTILE
Medico Dietologo e Nutrizionista
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È vero in quanto, in una percentuale piuttosto alta di soggetti obesi, le cellule grasse aumentano di dimensione oltre i limiti imposti dal codice genetico e, per tale ragione, vanno incontro a rottura e morte. Ma la morte della cellula grassa allarma il sistema immunitario che innesca un processo infiammatorio. Lo stato d’infiammazione cronica che caratterizza una larga percentuale dei pazienti in sovrappeso oppure obesi costituisce un pericoloso fattore di rischio cerebrale, cardiaco e metabolico. Infatti, l’infiammazione negli obesi, aumenta il rischio di andare incontro più frequentemente ad ictus, infarti, diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e altro. Questo dato non è nuovo, ma recenti studi forniscono costantemente evidenze sulla stretta relazione tra la presenza di elevate concentrazioni di indici infiammatori e il sovrappeso patologico. Tali osservazioni rivestono un importante significato clinico, in quanto potrebbero tradursi in criteri diagnostici in fase di screening e stratificazione dei pazienti per permettere una più rapida identificazione dei soggetti esposti ad un maggiore rischio cerebro-cardio-metabolico e facilitare così la messa a punto di strategie terapeutiche mirate.